Bambini, come spiegare loro la morte e leggere le loro emozioni

09. Novembre 2016 Uncategorized 0

I bambini sono in grado di comprendere benissimo il concetto di morte e di gestire la situazione, se viene loro spiegato in modo adeguato in base all’età.

 

COME SPIEGARE LA MORTE AI BAMBINI E LEGGERE LE LORO EMOZIONI
COME SPIEGARE LA MORTE AI BAMBINI E LEGGERE LE LORO EMOZIONI

Se ci si ferma a riflettere, si coglie quanto abitualmente la parola morte sia lontana dalla parola bambino.
Gran parte della società in cui viviamo compie un grosso sforzo per ignorare la realtà della morte, con tutto quello che vi ruota attorno. Le paure e le errate convinzioni degli adulti vengono comunicate ai bambini. Le domande dei bambini sulla morte sono invece frequenti e naturali; d’altra parte anche le favole e i cartoni animati fanno spesso riferimento a questo argomento. Per assurdo, mentre la morte virtuale entra costantemente nella vita dei bambini, si fa di tutto per allontanarli dalla morte reale impedendo loro di partecipare e prepararsi emotivamente a questi momenti, dolorosi quanto inevitabili (Guarino, 2006).
Generalmente si pensa che un bambino non sia ancora in grado di comprendere appieno il concetto della morte, oppure si pensa che sia per lui un dolore troppo grande da sopportare, per questo si è automaticamente portati a cercare di proteggerlo. In realtà i bambini sono in grado di comprendere benissimo il concetto della morte, se viene loro spiegato in modo adeguato in base all’età, altrettanto bene sanno gestire la situazione.
I bambini possono essere confusi e non capire magari ciò che sta succedendo. Dal momento che non hanno ancora raggiunto una completa padronanza di linguaggio, hanno difficoltà ad esprimere verbalmente le proprie emozioni, per questo manifestano il loro dolore e la loro sofferenza attraverso il comportamento. Possono mostrarsi più paurosi rispetto a prima, possono succhiarsi il pollice o perdere appetito. Altre manifestazioni tipiche di uno stato di sofferenza possono essere incubi notturni, fare la pipì a letto, andare male a scuola o avere comportamenti finalizzati a ricevere più attenzioni. Spesso è difficile avviare e portare avanti un dialogo con i bambini: c’è il rischio di bloccarli precocemente provocando rancori, sofferenza, chiusura che, a volte, possono consolidarsi nel tempo. Ma quando il bambino manifesta, attraverso le domande e il comportamento, il suo bisogno di parlare, cioè si sente pronto a farlo, non possiamo farci cogliere impreparati. È importante ricordare che il bambino non ama le discussioni lunghe e pesanti: il dialogo deve essere breve e mirato, spesso bastano pochi scambi di parole per alleviare il dolore. Parlare con il bambino della morte a partire dalle domande che lui pone lo aiuta a trovare il suo posto nel mondo, a considerare in modo più adeguato la sua famiglia e la società in cui vive (Oppenheim, 2004).

Ciò che il bambino è in grado di capire della morte dipende dall’età, dalle sue caratteristiche personali e dalla relazione che ha con la persona che sta per morire.

  • I bambini più piccoli si sentono generalmente molto confusi e non comprendono del tutto ciò che sta accadendo, hanno bisogno di essere rassicurati, abbracciati e coccolati.
  • I bambini tra i 3 e i 5 anni vedono la morte come una partenza momentanea e pensano che la persona morta tornerà. Sono generalmente abituati a guardare cartoni animati in cui il loro eroe viene fatto scoppiare in mille pezzi, viene schiacciato, ma dopo due secondi ricompare miracolosamente vivo e pronto per nuove avventure. Quando però la morte li interessa da vicino vivono molto intensamente la perdita e il dolore perché sono già in grado di capire cosa sia la sofferenza. I bambini intorno ai 5 anni sono spesso incuriositi dagli aspetti fisici e biologici della morte.
  • I bambini tra i 7 e gli 8 anni hanno un’idea più realistica della morte, uno dei problemi maggiori è dato dal fatto che non sono in grado di capire e identificare le loro emozioni. Potrebbero regredire in abilità acquisite precedentemente oppure diventare aggressivi con i loro compagni oppure sfogare la loro aggressività verso giocattoli o altri oggetti. Di solito sono interessati agli aspetti che riguardano i funerali e i riti di sepoltura.
  • I bambini tra gli 8 e 11 anni vedono la morte come la fine delle funzioni vitali, ad esempio assenza di respiro o assenza di battito cardiaco. Anche a questa età però i bambini non sono in grado di identificare le loro emozioni e potrebbero esprimere rabbia e dolore con i compagni o i familiari attraverso atteggiamenti aggressivi o tipici di quando erano più piccoli.
  • I bambini dagli 11 anni in su sono in grado di comprendere la morte in termini adulti, vanno quindi trattati come tali, ricordando che spesso hanno difficoltà a gestire ed esprimere le proprie emozioni, proprio come avviene per gli adulti.

Generalmente la scomparsa di un animale domestico rappresenta una prima esperienza di lutto per i bambini, a partire dalla quale impareranno ad affrontare le successive. Ogni bambino prima o poi si trova a doversi confrontare con la morte: lontana (come quella di un bambino dall’altra parte del mondo) o vicina (come quella del nonno), marginale (come quella di un animale) o centrale (come la propria). Gli adulti non devono avere paura: se un bambino dimostra con le sue domande o il suo sgomento di voler parlare, significa che possiede i mezzi per capire. Anzi, se l’adulto ha fiducia in sé potrà aiutare il bambino a trasformare un evento negativo in un momento positivo del suo sviluppo. Ricordiamo che i bambini sono molto tolleranti verso mancanze ed errori delle persone che amano se sono sinceri in ciò che fanno; al contrario vengono sconvolti da segreti e menzogne, poiché si sentono soli, e rischiano di sviluppare perdita di fiducia nella loro capacità di pensare e in quella degli adulti nel dare loro una mano. Nel confrontarsi con la morte, il bambino viene attraversato da pensieri ed emozioni complessi e violenti che mettono alla prova la sua relazione con l’altro, la sua idea di se stesso, la sua idea di vedere il mondo. Certamente riesce a distinguere le diverse situazioni: ad esempio la morte di un animale domestico può aiutarlo ad esprimere ciò che non osa provare riguardo a una morte che avverrà (prima o poi) o è già avvenuta, di suo nonno per esempio (Oppenheim, 2004).
Nel caso in cui invece un bambino perde un genitore, per lui principale fonte di benessere e sicurezza, questo tipo di evento può assumere dimensioni catastrofiche, con conseguenze destabilizzanti sul piano emotivo. La morte di un genitore è ancor più destabilizzante quando il bambino è troppo piccolo perché possa comprendere il significato della morte e quando il genitore era solito provvedere alle abituali cure quotidiane che trasmettono sicurezza. Il modo in cui avviene la morte del genitore influenza l’effetto che questa ha sul bambino: se assiste ad una morta violenta è esposto a stimoli schiaccianti, come scene di violenza e sofferenza, sangue, grida, vista del corpo ferito, arrivo della polizia o del personale medico. Il genitore diventa inaccessibile e questo evoca un’attivazione empatica nel bambino, suscitando il desiderio di fornire aiuto, che non può essere realizzato: ciò genera un sentimento di impotenza. La protezione del genitore viene meno nel momento in cui il bambino ne ha maggiormente bisogno, e la vista del corpo immobile del genitore morto genera un sentimento di paura per la sua stessa sicurezza. Questi traumi interferiscono con l’abilità del bambino di elaborare il lutto, perché il piccolo non può ricordare il genitore senza ricordare le circostanze in cui è avvenuta la morte.
Le risposte dei bambini alla separazione e alla perdita includono cicli di sofferenza, di ritiro emotivo, di rabbia, che possono presentarsi a intervalli periodici anche per periodi prolungati di tempo. La risposta iniziale consiste quasi sempre in un’intensa protesta, espressa con un pianto persistente. Dopo questa fase iniziale il comportamento diminuisce di intensità, e viene sostituito da una sensazione di tristezza più silenziosa. I disturbi del sonno sono molto frequenti e includono il rifiuto di dormire da soli o la difficoltà di andare a dormire. È importante ricordare che il genitore in vita rimane comunque la persona più indicata per aiutare il bambino ad affrontare la morte (Lieberman, Compton, Van Horn, Ghosh Ippen, 2007).
È altrettanto importante sottolineare come lo Psicologo–Psicoterapeuta attraverso la sua consulenza possa aiutare la riattivazione e la riorganizzazione di quelle risorse possedute dalla famiglia che consentono di gestire il problema rilevato, evitando che si entri in un circolo vizioso, nel quale alcuni comportamenti e reazioni a catena possono diventare cronici, rendendo la situazione a rischio psicopatologico. L’intervento psicologico è dunque finalizzato ad aiutare le persone a comprendere la normalità dei loro vissuti e, in alcuni casi, ad autorizzare questa sofferenza. Inoltre lo psicologo testimonia, con la sua presenza e la sua capacità di parlare, che egli non è “ spaventato o messo in pericolo, o distrutto, dalla violenza delle emozioni e delle parole dette, al contrario della persona in lutto che ha spesso paura di esserlo” (Dill, 2003). Il bambino, come persona in lutto ha bisogno di essere riconosciuto, accompagnato, sostenuto nel suo dolore e nel suo riadattamento: la sofferenza estrema che sperimenta può far paura, può rendere irriconoscibili a se stessi, per questo è utile, in alcuni casi attivare degli interventi psicologici, individuali e/o di gruppo, di accompagnamento e sostegno.

 


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *